
Il secondo aspetto riguarda gli assetti economici, troppo deboli e disarticolati. Non ci saranno novità, nella giostra che gira su se stessa da anni, perché non esistono imprese capaci di fare sistema. Di internazionalizzarsi, di credere nell’innovazione e nella ricerca, di realizzare un modello sinergico di produzione che valorizzi la Calabria nelle sue specificità agroalimentari e turistiche senza lasciare che tutto si risolva solo in personali tentativi di impresa sostenuta. Tentativi che non allargano la base di accesso ne, tantomeno, incentivano la crescita dell’idea business, qualora ci fosse, perché si esauriscono solo nell’uso del sostegno, politico e finanziario, del momento. Non ci saranno novità perché, se sapremo andare oltre la celebrazione giornalistica, osserveremo sul campo i risultati di una politica economica regionale assente, lasciata ad una classe di imprenditori di piccola o al più di media dimensione che non fanno sistema e non crescono. Non ci saranno novità perché nella realtà occupazionale se dovesse emergere il lavoro sommerso esso sarà, con grande sorpresa, paradossalmente più nostro che non degli immigrati, questi ultimi più regolari e regolarizzati di noi. Non ci saranno novità perché i nostri paesi saranno sempre più disabitati e privi di giovani che, al di là dei voucher di comodo che non premiano nessuna attività di ricerca, ti chiedono ancora oggi di essere aiutati a superare, andandosene via, l’inerzia, il senso di immobilismo che si respira nella nostra terra.
La terza riflessione riguarda l’aspetto politico dei partiti/coalizioni. Non ci saranno novità perché la politica di sinistra e troppo occupata dall’ambiguità del gioco al massacro del concorrente, ostaggio anch’essa di interessi di parte, di rendiconti personali, di posizioni di potere da distribuire. Non ci saranno novità perché la destra, soprattutto ciò che resta di Alleanza Nazionale, tenterà in Calabria la carta della sopravvivenza per non finire completamente politicamente annichilita, suo malgrado, nel vortice azzurro credendo che ciò possa dare merito, in caso di vittoria, a qualche colonnello che cerca di affermarsi nel partito, che non vorrà stare solo a guardare all’eredità della leadership, dimentico, però, di dover fare i conti prima o poi con l’anima forzista. In questo ultimo caso, la stessa partita per riorganizzare il coordinamento calabrese del centrodestra diventa emblematica del come la sostanza si priva della concretezza per affidarsi alla vetrina di un titolo. Un coordinamento che sarà più “azzurro” di ieri e che si affiderà ad una troika costruita per non “scontentare” nessuno, distribuendo titoli nell’ingenua speranza, per ognuno dei componenti, di poter riscuotere un credito politico in caso di vittoria. Una soluzione, per le logiche milanesi, che sarà avallata perché una simile distribuzione di cariche senza costo quieterà la litigiosa Calabria di destra. Una soluzione salomonica che sopperirà all’imbarazzo di doversi sentire in debito domani per un risultato o per dei voti e magari, per questo, dover condividere o decidere sul territorio scelte di un partito a cui poco importa di questa regione.
In tutto questo, in questa giostra dal rituale conosciuto, ci saranno solo una novità, che riguarderà il Paese, e una mezza novità, che riguarderà noi. La novità è che nell’auspicata riforma dello Stato l’autogestione possibile sarà l’espressione legalizzata di una sorta di un non ben definito federalismo della spesa realizzato su una nuova economia locale. Quell’economia sulla quale si costruirà ciò che Michele Salvati (Corriere della Sera del 4 gennaio 2010) ha definito il federalismo delle clientele, realizzato sulle capacità di promessa del politico di turno. Un federalismo clientelare così costruito al Nord secondo uno schema perfetto di gestione allargata ai pochi del club in voga, ma con essi condiviso e che distribuisce almeno servizi di qualità e crea una ricchezza che si diluisce man mano a scendere verso il cittadino. Vi è poi la mezza novità, la nostra. Un federalismo delle clientele al Sud che nell’autonomia del governatore, nuova identità dal passato presente, sarà nuovamente l’espressione migliore di una politica fondata ancor di più sul potere personale. Un sistema dal quale nessuno rifuggirà, di destra o di sinistra che sia, e al quale ne siamo sempre di più assuefatti.