
È la paura dei giovani di non riuscire a trovare un’identità propria nella comunità, dovendo trasmigrare capacità e abilità senza ottimizzare le proprie attitudini a vantaggio del modello produttivo che si vuole difendere senza renderlo originale. Un modello produttivo che nella flessibilità delle risorse più giovani cerca di contenere deficit da competitività nel breve periodo. Un modello che non riesce, però, a strutturarsi per diventare competitivo nel medio/lungo termine ed assicurare livelli di occupazione tali da assorbire risorse che si disperdono soprattutto qualitativamente. Un sistema di governo sociale, prim’ancora che economico, che non riesce a realizzare un sistema democratico condiviso, che non regola se stesso sulle domande di parti della comunità perché ritenute aggregate, erroneamente assimilate nel modello di organizzazione sociale offerto.
Di fronte ad un confronto così chiaro, ad una evidente crisi dei modelli politici neoliberisti occidentali, le ragioni sociali del lavoro, l’utilità del capitale e del reddito quali fattori di crescita e non di competizione individualista o di mortificazione collettivista, tornano a galla. Tornano quasi a rimodellare i modelli economici occidentali sempre più finanziari e poco produttivi. Se non si comprende questo il quadro rischia di rimanere confuso. Una confusione dove l’incomprensione sulle reazioni delle giovani generazioni determina un confine sempre più sottile tra il senso comune del rispetto della legalità e la reazione ad una legalità non interiorizzata. Una legalità che non viene percepita quale espressione di una pari onestà intellettuale rivolta a promuovere opportunità concrete di crescita per i giovani e non provvisorie verità di mercato.
La provvisorietà determina insicurezza, poca certezza, paura del futuro, favorisce la disoccupazione ideologica e culturale. Così se le cause possono essere facilmente attribuite ad un ritardo nell’evoluzione democratica, ad un mancato intervento sul piano economico e sociale rivolto a tutelare le minoranze più deboli di fronte all’internazionalizzazione dei mercati che tende ad escludere i meno capaci, allora il rischio che il confronto si giochi sulle periferie europee è alle porte. Un momento di particolare vulnerabilità delle classi politiche di ieri che tentano di rimodellare il contributo dei giovani alla crescita ma che, in realtà, li relegano ad un ruolo di secondo piano esclusi come sono ancora, per età e per cultura, dal partecipare alla vita economica e sociale del Paese reale, quello che conta.
Il risultato di tutto ciò è un disincanto diffuso ed una reazione pronta a sconvolgere l’ordinato andamento di una vita sociale ed economica per pochi. Un modo estremo per appropriarsi del proprio futuro laddove la dignità di essere giovani è o lo strumento per occasioni di lotta politica o il veicolo di promozione di attività economiche realizzate per vantaggi di alcuni, ma non per la crescita sociale di tutti.