
Il caporale Wilson nella sua semplicità ha dimostrato quanto sia importante dotare la politica di concretezza e di capacità di decidere tecnicamente l’impiego della forza e di tutelare le proprie risorse al di là di tutto con il meglio dell’equipaggiamento che si può offrire. Non si va in guerra con ciò che si ha. Una risposta del genere può essere compresa e accettata da chi è costretto a combattere per difendersi ma non da chi deve condurre una guerra preventiva. Chi attacca deve avere i mezzi per condurre una campagna di cui ne dovrebbe conoscere i rischi, valutarne la durata e prefiggersi dei risultati conseguibili nell’immediato.
La risposta di Rumsfeld è la peggiore risposta che un capo militare abbia mai dato nel corso della storia militare ai propri uomini. È la risposta che di fronte all’imprevedibilità di eventi non considerati spiazza il leader scoprendone le debolezze e l’incapacità di relazionarsi con il popolo militare, con il soldato, con chi rischia la propria vita per assicurare la longevità del potere di un capo. La differenza fra un leader combattente e un leader che combatte con le vite degli altri è la condivisione dei rischi e la sensibilità di comprendere lo stato d’animo dei soldati e valutare il loro livello di coinvolgimento in battaglia. Ma oggi, guardando anche ai leader militari, ciò diventa sempre più difficile.
La distanza che intercorre fra una gerarchia militare di vertice e il soldato è pari alla distanza che intercorre fra il caporale Wilson e il potere politico che rappresenta e di cui ne è strumento. Tuttavia si può anche combattere con ciò che si ha, ma ci vogliono delle buone ragioni per farlo e dei capi che siano convincenti. Probabilmente nemmeno le gerarchie americane sono state così convincenti o prossime ai soldati per affidare ad un caporale la responsabilità di rappresentare la vulnerabilità di un esercito unico al mondo. Ma ci consoliamo. Il caporale Wilson non è un caso, è solo un dejà vu oggi autorevole perché a stelle e strisce, e per questo può considerarsi fortunato.
In altre latitudini altrettanto democratiche avremmo certamente qualificato un intervento simile quasi come una fattispecie penalmente rilevante, nella migliore delle ipotesi almeno disciplinarmente. Un attentato all’efficienza logistica della pianificazione, soprattutto in materia di predisposizione a difesa di luoghi e di dotazioni, delegando ad autorità diverse da quella militare la soluzione di problemi logistici rappresentati in modo “no military correct”. Senza avere la sensibilità che il punto di vista di chi combatte è la valutazione migliore per aumentare la capacità militare di un dispositivo considerato nella sua efficienza solo dopo la prima tragedia utile.