
Il limite dell’orizzonte strategico occidentale si sovrappone sempre di più ad una meno chiara capacità di analisi politica della regione e ad un’incapacità di riorganizzare gli assetti istituzionali. Assetti che favoriscano concretamente la transizione verso un modello democratico, con una presenza che non sia solo di presidio, ma di difesa, dichiarata, di chi tenta di affermare un valore che noi tutti riconosciamo e per il quale giustifichiamo la presenza delle nostre bandiere in terra straniera: la democrazia. L’incapacità di Musharraf di guidare una transizione verso un modello non autocratico si è risolta nell’affermazione di un potere ancorato a vecchie logiche strategiche non più valide. Musharraf, nel suo essere filoccidentale, non è estraneo alla volontà di continuare a mantenere una leadership militare regionale fondata sul concetto di potenza per un Pakistan nucleare che solo in un’ottica personalistica può sopravvivere come tale e che, pertanto, ogni altro valore diventa marginale se non insignificante.
In questo, non solo la minaccia talebana e di Al-Qaeda ma la poca volontà degli autocrati filoccidentali di ieri ingessa in una situazione di stallo politico e strategico qualunque possibilità di cambiamento. Se l’Occidente guarda a Karzai quale interlocutore per un Afghanistan verosimilmente democratico, in realtà non ha percepito, o non ha voluto considerare, che il vero cambiamento, il vero effetto domino nella regione, poteva essere offerto solo da un mutamento del regime pakistano attraverso la difesa di una personalità come Benazir Bhutto perché, opportunisticamente, islamica, laica e democratica nello stesso tempo. Una donna che, al di là delle provocazioni, sommava per molti in sé valori forti e determinanti per guidare gli animi delle classi più deboli, quelle più vicine alle lusinghe di Al-Qaeda: fede islamica, laicità, parità per le donne, democrazia rappresentativa.
L’Occidente perde così l’ennesima opportunità perché sbaglia gli “investimenti”. Perché punta o mantiene in auge uomini politici che non hanno orizzonti di medio/lungo termine da conseguire se non garantire interessi del momento convergenti con altrettante contingenti necessità strategiche (non dimentichiamoci di Saddam Hussein). Il rischio, oggi, è di continuare a commettere errori su errori. Di non disporre di leader alternativi. Di non valutare le situazioni sul campo con la freddezza dell’analista sincero ancorché animato da proprie valutazioni, ma consapevole che il risultato a breve termine non garantisce alcun futuro nella stabilizzazione di comunità complesse. Per questo la morte della Bhutto è l’ennesimo abbandono di chi guarda ad un Occidente ideale di democrazia e crescita, mentre quello reale è troppo impegnato in disegni limitati e di poco respiro a combattere una guerra contro un nemico invisibile che, al contrario, disegna con prontezza obiettivi e risultati.