
Ed è poca cosa credere che non sia così soltanto perché esprimiamo un’immagine buonista e fatta di sorrisi quando, in fondo, a decidere le sorti del mondo, e della vicina Europa, sono altri Stati-partner. Quando è la Germania della Merkel che guida un’idea di diplomazia militante alla quale si accoda il neoeletto presidente francese Sarkozy. La differenza tra noi e gli altri è che l’Italia non affronta scalate su itinerari politici costruiti sull’etica nazionale, sul perseguimento di politiche senza privilegi, superando una comoda frammentazione interna, una funzionale debolezza, una precarietà ideologica che si manifesta sia a destra che a sinistra. Oggi, raggiunto l’apice della disillusione, il vero problema dell’Italia è evitare una deriva senza onore perché ancora incapace di superare particolarismi di potere personale che non possono restituire dignità alla politica.
Ciò non avviene perché significherebbe rinunciare a posizioni di potere consolidate, richiederebbe l’onestà di fare più di un passo indietro per molti e abdicare restituendo alla società civile ogni legittimazione indirettamente assunta da una casta partitocratica. Una partitocrazia che è sopravvissuta e si è alimentata su una singolare percezione di sé, costruita quale risultato di una storia fondata per anni su ambiguità ideologiche e presentandosi con una classe politica consolidatasi nell’immutabilità delle posizioni, delle persone, degli interessi non dichiarati di lobby che non hanno colore o che vanno oltre il colore. Un’ambiguità che ha permesso, anche al di là del proletariato consunto, di far crescere quelle classi politiche antagoniste di ieri imborghesitesi oggi, che non cedono il passo ad un nuovo che non c’è nonostante sia stata superata anche la lunga transizione della sintesi democristiana.
In un paese a legalità vigilata e a rappresentatività cooptata dall’arco politico perennemente in auge, sembra sia necessario costruire una nuova coscienza e una nuova cultura politica. Oggi tocca al cittadino riappropriarsi della politica. Tocca al cittadino controllarne l’operato, impedire che la politica sia sempre di più una sorta di campo privato, il teatro pirandelliano del cimento apparente di idealità smarritesi nella fine delle ideologie massimaliste e nella rivoluzione borghese a sinistra quanto nella deriva neopopulista a destra. In quest’ottica, si risolverebbe la stessa difficoltà della sinistra di raggiungere una sintesi ideologica, e di leadership, per il Partito Democratico quale architettura unitaria e identitaria. Ma si aprirebbe un nuovo futuro anche per la destra che oggi si rispecchia nell’incapacità di superare le proprie contraddizioni interne frutto, com’è, di un mosaico solo italiano tenuto insieme da un sentimento nazional-popolare che sopravvive condividendo i destini di una prospettiva liberale espressa in chiave autonomistica.